Progetto “Smoke and Skin”: Riduzione del danno da fumo

In questo capitolo del Progetto “Smoke and skin” parleremo della riduzione del danno da fumo. Naturalmente il metodo più efficace è abbandonare completamente il vizio, ma si tratta di una scelta a volte troppo drastica per un fumatore. Vediamo quindi quali sono gli altri interventi ed escamotage attuabili per ridurre danni e rischi del fumo.

Cessazione del fumo

Smettere di fumare è ovviamente il modo ideale per ridurre e addirittura eliminare il rischio delle patologie correlate al fumo di sigaretta. I primi effetti si possono osservare molto presto. Già dopo 20 minuti rallenta il battito cardiaco e diminuisce la pressione sanguigna; dopo 12 ore il livello di monossido di carbonio nel sangue diminuisce; dopo 2 giorni si recupera il senso del gusto e dell’olfatto; dopo 2-12 settimane la circolazione migliora e aumenta la funzionalità polmonare;  dopo 2-8 settimane migliora l’aspetto di pelle e capelli; dopo 1-9 mesi migliorano tosse e respiro corto; dopo 1 anno il rischio di malattia coronarica è dimezzato rispetto a quello di un fumatore; da 5 a 15 anni dopo avere smesso, il rischio di ictus si riduce al pari di quello di un non fumatore; dopo 10 anni il rischio di tumore al polmone diventa la metà di quello di un fumatore e diminuiscono i rischi di tumori della bocca, della gola, dell’esofago, della vescica, della cervice uterina e del pancreas; dopo 15 anni il rischio di una cardiopatia coronarica è simile a quello di chi non ha mai fumato.

Quando però il fumatore non riesce ad abbandonare la propria dipendenza, si possono trovare strade alternative, che mirino a “ridurre il danno”.

La riduzione del danno

La riduzione del danno (harm reduction) si basa su strategie e interventi volti a ridurre gli effetti di comportamenti nocivi per la salute, senza che questi siano eliminati completamente o permanentemente1. Il modello di riduzione del danno si è sviluppato in particolare negli anni ’70 e ’80 in risposta a malattie infettive come l’epatite B e l’HIV, ma le sue radici risalgono almeno agli inizi del 1900. Ad esempio, nel 1926 in Gran Bretagna, il Departmental Committee on Morphine and Heroin Addiction (Rolleston Committee) diede ai medici il permesso di prescrivere eroina e morfina in maniera controllata, a basse dosi, basandosi sul principio che la riduzione graduale della quantità di droga consumata fosse il miglior metodo di trattamento per le persone dipendenti.  Negli anni ’80, con la diffusione dell’HIV, il modello di riduzione del danno è stato applicato in larga scala. L’intervento principale consisteva nella distribuzione di siringhe sterili gratuite ai tossicodipendenti, incentivando la restituzione, da parte di questi, delle siringhe usate. Vennero anche realizzati programmi di informazione per la prevenzione dell’overdose e si diede la possibilità ai medici di prescrivere terapie sostitutive con oppiacei.

Non esiste un’unica modalità di riduzione del danno, dato che gli interventi si basano sui bisogni dell’individuo e della comunità. In senso generale, Harm Reduction International (HRI) definisce la riduzione del danno come “un insieme di politiche, programmi e pratiche che mirano principalmente a ridurre le conseguenze negative per la salute, sociali ed economiche dell’uso di droghe psicoattive legali e illegali senza necessariamente ridurre il consumo di droga. Ne traggono beneficio le persone che usano droghe, le loro famiglie e la comunità”2. Sebbene sia nato in relazione alle droghe, il concetto di riduzione del danno può essere applicato a ogni tipo di dipendenza, inclusi alcol e fumo, e anche ad altri campi, come i disordini alimentari e la violenza domestica.

I principi alla base del concetto di riduzione del danno

Un recente studio ha definito sei principi generali di riduzione del danno applicabili a tutto l’ambito sanitario e non solo alle dipendenze da droghe.

  1. Umanesimo: gli operatori sanitari devono valorizzare, rispettare e prendersi cura dei pazienti come persone.
  2. Pragmatismo: nessuno può avere dei comportamenti di salute perfetti.
  3. Individualismo: ogni persona ha i propri bisogni e i propri punti di forza.
  4. Autonomia: anche se l’operatore sanitario dà suggerimenti e indicazioni sui trattamenti, la decisione ultima su terapia e salute spetta all’individuo.
  5. Gradualità: ogni cambiamento positivo è un passo verso il miglioramento della salute, e può essere necessario molto tempo per ottenere un cambiamento positivo.
  6. Responsabilità: i pazienti sono responsabili delle scelte che operano per la propria salute e non devono essere colpevolizzati per scelte dannose.

Vantaggi degli interventi mirati a ridurre il danno

Molti studi forniscono solide prove sulla fattibilità, l’efficacia, e il rapporto costo-beneficio degli approcci di riduzione del danno. Una revisione sistematica della letteratura sui programmi volti a evitare lo scambio di siringhe ha dimostrato che sono efficaci nel ridurre la trasmissione dell’HIV3 e aumentano l’accesso degli utenti ad altri servizi di assistenza medica e sociale. Interventi di “housing first” in cui veniva messo a disposizione un alloggio ai senzatetto senza richiedere che si astenessero dall’uso di alcol o altre sostanze, hanno portato alla diminuzione delle spese di assistenza medica e sociale e anche dell’uso di sostanze4.

Aspetti etici e politici

Alla base della strategia di riduzione del danno da abuso di sostanze vi è l’assenza di giudizi morali e quindi la non discriminazione dei consumatori.  Questo concetto ha implicazioni politiche ed etiche che influiscono sulle scelte di sanità pubblica di ogni paese. A partire dagli anni ’90 esso è stato via via sempre più accettato fino a diventare parte integrante dell’orientamento della politica in materia di droga da parte dell’Unione europea, seppure con differenze tra Stati5.  L’Europa ha svolto un ruolo chiave nel far sì che la riduzione del danno venisse introdotta nelle politiche delle Nazioni Unite.

Riduzione del danno da fumo

Negli ultimi decenni sono stati proposti diversi approcci per la riduzione dei danni da fumo, che tengono conto della difficoltà che hanno molti fumatori di abbandonare definitivamente la sigaretta. Gli interventi consistono nell’utilizzo di terapie sostitutive a base di nicotina o nell’uso di tabacco da fiuto (snus, ora proibito in tutti i paesi dell’Unione Europea, tranne la Svezia). Vi è poi la sigaretta elettronica, che è un dispositivo che permette di inalare vapore, in genere aromatizzato, contenente quantità variabili di nicotina, ed evita quindi la combustione del tabacco e i danni a essa correlati. Infine, i dispositivi a tabacco riscaldato, che a differenza delle sigarette elettroniche contengono la foglia di tabacco, impiegano il riscaldamento e non la combustione del tabacco per far assumere nicotina al consumatore.

Questi temi verranno trattati in maggiore dettaglio nei prossimi articoli.

 

Bibliografia

  1. Hawk M, Coulter RWS, Egan JE, et al. Harm reduction principles for healthcare settings. Harm Reduct J. 2017;14(1):70.
  2. What is harm reduction?. London: International Harm Reduction Association. [https://www.hri.global/what-is-harm-reduction]. Accessed 22 June 2020.
  3. Wodak A, Maher L. The effectiveness of harm reduction in preventing HIV among injecting drug users. N S W Public Health Bull. 2010;21:69–73.
  4. Larimer ME, Malone DK, Garner MD, et al. Health care and public service use and costs before and after provision of housing for chronically homeless persons with severe alcohol problems. JAMA. 2009;301(13):1349-1357.
  5. Cook C, Bridge J, Stimson GV. The diffusion of harm reduction in Europe and beyond. MONOGRAPHS. 2010;37–56.

 

Progetto “Smoke and Skin” in collaborazione con IMR, con il contributo non condizionante di PMI Science.

 

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