La Dermatologia al tempo del Coronavirus: molte parole (e qualche fatto)

L’epidemia da COVID-19 rappresenta un evento di portata tale da non risparmiare alcun settore della nostra vita e della nostra società, soprattutto quando si appartiene al mondo della sanità come è il caso di noi tutti dermatologi.

Due sono gli aspetti in cui principalmente ci troviamo ad operare: il primo legato all’assistenza dei nostri pazienti, quelli che normalmente si affidano alle nostre cure per patologie dermatologiche, e che, in questa sconvolgente contingenza, ci chiedono consigli e suggerimenti; il secondo, legato alla partecipazione diretta del dermatologo all’assistenza dei pazienti COVID-19.

E due sono le modalità con cui il dermatologo è tenuto a intervenire, l’una prevalentemente speculativa e intellettuale, educativa e divulgativa, l’altra draconianamente operativa.

Fra vademecum, ipotesi e prime sensazioni: che consigli per i nostri pazienti?

In mancanza di dati certi di qualsiasi tipo, più o meno contemporaneamente ad altre società scientifiche e associazioni di supporto in ambito dermatologico e non (AMICI, ANMAR, SIDeMaST, SIR, ecc) il 25 febbraio scorso ADOI ha pubblicato una breve nota per trasmettere più che altro un sentimento di vicinanza ai nostri pazienti (qui il link)

Nelle settimane successive, sebbene più voci ci avessero chiesto di pubblicare consigli e vademecum su questa e quella patologia, abbiamo preferito evitare che indicazioni multiple, sovrapponibili o contraddittorie che fossero, contribuissero a trasformare in caos il già disarmonico rumore che ha pervaso da subito il mondo dermatologico, rinviando alle indicazioni ufficiali dell’OMS e ministeriali nonché a quelle che di volta venivano pubblicate da altre società scientifiche, sebbene necessariamente generiche per la mancanza di dati certi e aggiornate di volta in volta in base più al buon senso che a evidenze scientifiche (meritoria e opportuna la tempestiva eliminazione dei consigli su come continuare le sedute per trattamenti estetici ai tempi del coronavirus, che figurava al punto 1 della prima stesura di una di esse).

Ovviamente, voci di dissenso comunque si sono levate (COVID‐19 and psoriasis: Is it time to limit treatment with immunosuppressants? A call for action; Conforti C, et al, Dermatol Ther 2020), sempre rigorosamente in mancanza di qualsivoglia dato oggettivo, trasformando l’argomento di come gestire alcune terapie (nello specifico quelle con farmaci biotecnologici per la psoriasi) in una vera e propria disputa ideologica.

A questo punto non possiamo più esimerci dall’assumere una posizione, anche perché, mentre i reumatologi della SIR promuovono uno studio epidemiologico per ricavare dati scientifici da questa contingenza (dati che saranno però presumibilmente disponibili fra un po’ di tempo), le agenzie di stampa danno risalto alla notizia del decesso del quattordicenne portoghese Vitor Godinho, attribuendo alla psoriasi da cui era affetto un ruolo favorente il decorso particolarmente infausto dell’infezione da Covid-19. La vicenda del povero ragazzino portoghese, riportata in tali termini, potrebbe così contribuire ad accentuare il panico fra i pazienti, soprattutto quelli in trattamento con farmaci biotecnologici.

Su questo punto, restando fermo il concetto della completa assenza di qualsivoglia dato scientifico e categorica la raccomandazione per i pazienti alla massima prudenza, pur tuttavia i primi riscontri sembrano essere invece rassicuranti, non essendovi al momento alcuna altra segnalazione né in ambito divulgativo né soprattutto in ambito scientifico a sostegno di una relazione fra psoriasi e gravità dell’infezione da Coronavirus. Inoltre alcuni farmaci che si stanno dimostrando in grado di controllare le peggiori manifestazioni dell’infezione hanno meccanismi d’azione molto vicini ai farmaci biotecnologici utilizzati nella psoriasi e quindi, come suggerisce Vito Di Lernia dall’ospedale di Reggio Emilia, è ipotizzabile – sebbene sia tutto ancora da dimostrare – che tali terapie possano indurre precocemente il controllo di alcuni sintomi dell’infezione (Antipsoriatic treatments during COVID-19 outbreak; Di Lernia V, Dermatol Ther 2020) ed è addirittura allo vaglio la possibilità di sperimentare l’Adalimumab per il trattamento dell’infezione da covid-19 (“COVID-19 and psoriasis: Is it time to limit treatment with immunosuppressants? A call for action”; Abdelmaksoud A, et al, Dermatol Ther 2020).

I responsabili dei centri psoriasi ospedalieri di Bari, Benevento (dermatologia e reumatologia), Grosseto, Milano, Napoli e Reggio Calabria (che complessivamente seguono un totale di almeno 3.000 psoriasici) confermano di non aver avuto finora notizia di loro pazienti con problemi gravi legati all’epidemia Covid-19; è troppo poco per trarne qualsiasi conclusione, tuttavia ci consente di tranquillizzare ulteriormente i pazienti e invitarli, sempre rispettando rigorosamente le norme di sicurezza, a proseguire con fiducia le terapie in corso evitando di prendere iniziative personali e affidandosi nel dubbio al consiglio del dermatologo di riferimento (come abbiamo già specificato qui).

I dermatologi in prima linea …

Angelo Marzano, dermatologo dell’Università di Milano che ha contratto l’infezione da COVID-19 probabilmente al rientro da un congresso in Germania, in una intervista riferisce di aver accusato anche un fugace rash. A fornire i primi dati scientifici circa le manifestazioni cutanee in corso di covid-19 è però la dermatologia di un ospedale italiano, quello di Lecco, dove Sebastiano Recalcati ha avuto modo di osservare direttamente 148 pazienti affetti dalla malattia (ne abbiamo parlato qui). Angelo Marzano fortunatamente sta bene, così come ha superato senza danni l’infezione l’altro dermatologo di cui abbiamo avuto notizia, Marco Sidona, che l’infezione l’ha però probabilmente contratta in ospedale, a Macerata. A entrambi un caro abbraccio.

Come a Lecco e Macerata, in molti altri ospedali italiani l’attività delle unità dermatologiche continua, sebbene limitata alle situazioni non differibili. Ma in molti ospedali (Bologna, Bolzano, Trento, Lucca, Vercelli, Parma, Firenze ecc) i dermatologi sono anche chiamati a supportare internisti e infettivologi nell’assistenza ai pazienti COVID-19. A Benevento, ad esempio, i turni di guardia dei dermatologi in ambito dipartimentale sono raddoppiati e includono l’assistenza ai pazienti COVID-19 che non richiedano alta intensità di cura, mentre Francesca Romano, socia e segretario ADOI, è impegnata come volontaria in un’unità COVID della ASL Napoli 1.

Paradossale poi quanto è accaduto in provincia di Avellino, in una delle “zone rosse” della Campania, dove Stefania Di Cicilia (dermatologa e tra l’altro componente del Collegio dei Revisori ADOI), è stata l’unico medico ad aver aderito al bando per il reparto COVID dell’ospedale di Ariano Irpino, e per questo è stata oggetto di un vile quanto insulso attacco mediatico.

Non sono mancate le repliche, tanto che il pezzo è stato immediatamente cancellato dal sito del giornale con tanto di  scuse e rettifiche, ma, al di là di ogni considerazione etica e umana su un certo tipo di cosiddetta stampa, quello che ci preme sottolineare è che l’attacco alla collega, non trovando di meglio, è stato incentrato sul fatto che fosse “una dermatologa” e quindi automaticamente incapace di assolvere al ruolo.

Qualche giorno fa mi è stato chiesto di intervenire per una vignetta che gira sui social. La vignetta rappresenta Jack Nicholson che, in camice e mascherina, pronuncia la seguente frase: “State a casa, se non volete che sia un dermatologo a curare la vostra polmonite”. La realtà, come spesso accade, ha superato la fantasia!

D’altro canto, a confermare la tardiva ed errata percezione della situazione da parte di molti di noi, il primo punto del vademecum COVID per i pazienti dermatologici edito da una delle nostre società scientifiche così testualmente riportava fino a pochi giorni or sono:

“I pazienti che vengono sottoposti ad iniezioni di tossina botulinica o acido ialuronico, peeling chimici (acido salicilico, piruvico, glicolico) o trattamenti laser o luce pulsata (Co2, epilazione, rimozione tatuaggi, angiomi, invecchiamento), NON (in maiuscole nel testo originale, ndr) devono sospendere queste procedure. Lo specialista da parte sua ha il dovere di attenersi alle regole d’igiene e disinfezione sia dell’ambiente in cui tali procedure vengono effettuate che della pelle che deve essere sottoposta a trattamento”.

La risposta della dermatologia, ancor più in questa emergenza globale, non può far leva quindi se non sui fatti, sulla competenza, sul rigore del comportamento, sull’impegno di ciascuno, sul sacrificio. E temo che ciò competa , in questo momento ancor più che in passato, prevalentemente a noi ospedalieri.

Intanto qualche speranza per il controllo futuro del COVID-19 ci viene dall’Università di Pittsburgh, dove, ad opera del gruppo di ricerca guidato da Louis Falo, è in fase avanzata di studio un vaccino per il coronavirus. La notizia non può che farci piacere, anche perché Louis Falo è proprio un dermatologo.

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