Pubblichiamo il commento dell’avv. Teresa Varvarà alla sentenza della Cassazione civile n. 23328/2019 in tema di Consenso informato non adeguato se prestato firmando un modulo prestampato e generico
Con la Sentenza n. 23328/2019 – la Cass. Civ., Sez. III – si è nuovamente espressa sul dibattuto tema del consenso informato. Con tale pronuncia la S.C. ha sostenuto che la violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi di danno, ossia: uno alla salute, che si verifica allorquando sia palese che il paziente, su cui grava l’onere probatorio, se correttamente informato, non si sarebbe sottoposto all’intervento e non ne avrebbe sofferto conseguenze invalidanti; l’altro da lesione del diritto all’autodeterminazione in se stesso, che si verifica quando, a causa della carenza informativa, il paziente subisce un pregiudizio, patrimoniale o non, diverso dalla lesione del diritto alla salute. Per tale motivo gli Ermellini hanno sostenuto che la firma su un modulo prestampato e generico non sia sufficiente a rendere edotto, dettagliatamente, il paziente dei rischi connessi all’intervento e, nell’ipotesi di un giudizio, non spetterà al malato provare che non si sarebbe sottoposto all’intervento riparatorio se fosse stato adeguatamente informato.
I fatti relativi alla sentenza
Una paziente, asserendo di essere stata convinta dal medico a sottoporsi ad un intervento chirurgico non strettamente necessario (emorroidi di secondo grado) e non particolarmente impegnativo, lo conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Firenze, per chiedergli il risarcimento dei danni patrimoniali e non derivatigli da tale intervento compresi quelli collegati alla sofferenza fisica e psichica, oltre alla rinunzia ad ogni rapporto sessuale con conseguente crisi matrimoniale, culminata in una separazione.
La donna, che preliminarmente all’intervento aveva prestato il proprio consenso informato su un modulo prestampato e generico, nel corso dell’operazione aveva riportato una emorragia piuttosto importante tanto da dover richiedere altri due interventi chirurgici che venivano praticati senza la preventiva ulteriore acquisizione del consenso informato. Successivamente, a causa dei forti dolori e disagi fisici e psicologici patiti, nella speranza di restaurare la funzione rettale, la donna si sottoponeva ad un quarto intervento, che – purtroppo – non dava risultati soddisfacenti. Si tentava, pertanto, dapprima, con l’applicazione di un pacemaker anale e, successivamente, risultando insufficiente anche tale tecnica, con altri due interventi di graciloplastica, purtroppo, anch’essi non risolutivi.
Il Tribunale di Firenze, in primo grado, dichiarato responsabile il medico dei danni riportati dalla paziente, lo condannava al pagamento, in favore della donna, di 42.055 euro, liquidati dalla compagnia che lo manlevava dalla responsabilità civile. Non avendo il Tribunale di Firenze tenuto conto della mancata presenza dei consensi informati relativi agli interventi successivi al primo, la sentenza veniva impugnata dalla paziente davanti alla Corte d’Appello.
Quest’ultima, in parziale accoglimento del gravame, condannava il medico al pagamento dell’ulteriore somma di 6.549 a titolo di risarcimento del danno da invalidità temporanea e alla rifusione delle spese mediche, con condanna dell’assicuratore a manlevarlo riguardo al pagamento delle somme dovute. Relativamente all’eccezione sollevata dall’appellante in merito alla genericità ed inadeguatezza del consenso informato, ritenendolo nient’altro che un atto burocratico, riconosceva valido quello sottoscritto in occasione del primo intervento pur se espresso sulla base di un modello prestampato dai contenuti generici, ritenendolo idoneo, valido e riferibile anche agli interventi successivi.
La Corte, infine, aveva ritenuto che gravasse sulla paziente l’onere di provare che, se adeguatamente informata, avrebbe rifiutato di sottoporsi all’intervento. Per tali motivi la danneggiata, reputando che la decisione non fosse in linea con il principio di legittimità che ritiene insufficiente la sottoscrizione di un modulo di consenso informato del tutto generico, ricorreva alla S.C. lamentando la violazione degli artt. 1218, 1236 e 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., oltre che 2, 13 e 32 Cost..
La pronuncia della Corte
La Cassazione ha ritenuto di non poter estendere il consenso in occasione del primo intervento anche alle operazioni successive, seppure espresso per iscritto, perché apposto su un modello prestampato e generico, che non informava in maniera precisa e puntuale la paziente atteso che “il consenso informato deve basarsi su informazioni dettagliate, idonee a fornire la piena conoscenza della natura, portata ed estensione dell’intervento medico-chirurgico, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative” considerato che chi si sottopone ad un intervento chirurgico ha “la legittima pretesa di conoscere con la necessaria e ragionevole precisione le conseguenze dell’intervento medico, onde prepararsi ad affrontarle con maggiore e migliore consapevolezza“.
Ha, inoltre, sentenziato che “Dal carattere riparatorio degli interventi successivi al primo e dall’esito non risolutivo degli stessi deriva che l’onere di dimostrare che, se adeguatamente informata la paziente avrebbe verosimilmente rifiutato l’intervento, non ricade su quest’ultima” operando tale principio solo nell’ipotesi di intervento correttamente eseguito.
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